venerdì 27 gennaio 2017

Sonderkommando di Salmen Gradowski

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Questo, è proprio il caso di dirlo, è una delle volte in cui un libro mi ha fatto male con le parole racchiuse al suo interno. Mi è capitato poche volte che un libro mi “entrasse dentro” così tanto con la potenza delle sue parole. E questa è una di esse.
SonderkommandoSonderkommando è una descrizione veritiera e reale delle giornate nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il protagonista, ovvero lo scrittore stesso, è un Sonderkommando: un ebreo assoldato in questo “reparto speciale” (traduzione di Sonderkommando) che ha un crudele compito, quello di accompagnare i suoi amici e compaesani nei crematori e nelle camere a gas. Nonostante il compito veramente crudele, i Sonderkommando furono processati durante il Processo di Norimberga per essere collaboratori della forza nazista. Nella realtà non fu così. Nei capitoli precedenti al diario vero e proprio di Salmen, infatti, c’è una descrizione dettagliata di cosa siano stati i Sonderkommando, come venissero scelti, quale sia stato il loro destino in quanto ebrei e, per concludere, delinea la “possibile” vita di Salmen Gradowski alla luce di quanto ci ha lasciato scritto in fogli sparsi ritrovati poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’apertura al pubblico dei campi di concentramento e la rivelazione delle crudeltà perpretate al loro interno. I Sonderkommando non erano dei collaborati, erano loro stesse delle vittime delle atrocità naziste. Dalle parole di Gradowski traspare lo stesso senso di paura, incertezza e rassegnazione che possiamo ritrovare nelle pagine di Levi o di altri scrittori che hanno descritto le crudeltà dei campi di concentramento dal punto di vista di “lavoratori deportati”. 
Anche loro potevano morire da un momento all’altro, eventualità che avvenne effettivamente e che lo scrittore descrive nella seconda parte del diario (non a caso intitolata La separazione). Il 24 febbraio 1944 iniziò la riduzione dei Sonderkommando, perchè la Germania stava perdendo la guerra sul fronte sovietico e la guerra era ormai prossima alla fine. Un giorno i capi nazisti del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau riunirono tutti i Sonderkommando e lessero una lista di numeri (erano numeri anche loro proprio come gli “altri ebrei”!) Fortunatamente Gradowski non compariva in quella lista, ma molti suoi compagni di disavventure furono improvvisamente portati via, in un luogo ignoto.
La paura è passata per quelli che sono ormai sicuri che il proprio numero resta. Mentre uno stato d’animo funereo si è impadronito dei camerati designati per il trasporto. E la domanda assillante: – “Dove ci portano? A quale scopo? – riempie lo spazio. Nell’aria è palpabile la domanda. Davanti ai loro occhi si forma la parola: Dove? Tutto il loro essere, i loro cuori e i loro animi sono in balia di questo pensiero da incubo, che tormenta e sconvolge il loro io. A quale scopo? Perché li portano via?…    
Il vuoto lasciato dai compagni deportati è incolmabile. I giorni non saranno più gli stessi senza di loro. Il campo sembra vuoto (in effetti il numero di “operai” e di Sonderkommando fu dimezzato).
Come chi, addolorato,  fa ritorno a casa dal cimitero dopo aver accompagnato al riposo eterno il proprio amato, il proprio familiare – così noi ci sentiamo. Come chi non riesce a staccarsi dal luogo in cui ha appena lasciato una parte della propria vita e volge istintivamente il proprio sguardo verso quell’angolo che gli ha tolto ciò che di più caro aveva al mondo, e si sente di non poterlo abbandonare – così noi ci sentiamo in questo momento, quando ci viene ordinato di fare ritorno nel blocco. Come chi, addolorato, ritorna dal cimitero, il passo pesante, la testa bassa, china, velato di tristezza e di malinconia – così noi ci sentiamo…
Il breve diario di Gradowski si chiude con un unico appello e un solo punto fermo: da un lato c’è l’appello a fermare questa crudeltà di cui gli ebrei non hanno colpa, dall’altro lato l’unica certezza e forma di salvezza ormai rimasta a tutti loro è la preghiera. Infatti, si riuniscono in gruppi e pregano tutti insieme. E’ l’unica cosa rimastagli da fare, l’unica speranza. Hanno provato anche a ribellarsi, ma senza successo. Il risultato è stato un ennesimo sterminio di ebrei innocenti.
Può essere definita una storia incompleta, un diario a metà, poichè il libro si chiudesalmen-et-sarah-gradowski con questa descrizione dei gruppi di preghiera e con l’appello stesso dell’autore di pregare affinché tutto abbia fine. Non si hanno notizie certe sulla morte di Gradowski. Probabilmente fu ucciso insieme ai responsabili del movimento clandestino nato all’interno del Sonderkommando in seguito alla rivolta del 7 ottobre 1944 presso il crematorio IV. Solo dopo mesi dall’apertura dei campi di concentramento e dalla fine della guerra, furono ritrovati i manoscritti di Gradowski, sotterrati all’interno del campo e ben nascosti da occhi indiscreti e soprattutto da occhi che non dovevano ritrovare tutti questi fogli (i nazisti).
Di certo rimane una testimonianza fondamentale degli anni duri nei campi di concentramento di tutto il mondo, una preziosa testimonianza e un forte appello affinché tutto ciò che è successo non accada mai più. Gradowski invita non solo a riflettere ma anche a diffondere su vasto raggio per non nascondere al pubblico mondiale ciò che è stato.
Un invito alla riflessione e alla presa di coscienza della crudeltà efferata di quegli anni. Perché?? Per non dimenticare…

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